Marco, 38 anni, una vita senza smartphone
Niente telefonate, niente sms, niente chat, niente selfie. La vita come 30 anni fa sopravvive in un angolo di Genova. Perché esiste ancora qualcuno capace di pensare l’impensabile: dire no al cellulare. Esemplare di una specie ormai in via di estinzione, Marco Morandi ha 38 anni e di professione fa l’albergatore a Nervi. Non è certo un giovanissimo tenuto lontano dal malefico oggetto dalle premure di mamma e papà. Non è nemmeno un anziano signore che ha vissuto la maggior parte della propria vita senza quell’aggeggio sempre accanto.
E non vive da eremita del terzo millennio, anzi. Molto attivo su Facebook, nel tempo libero ultimamente va a caccia di hater: cerca di argomentare, spiegare, usare il ragionamento laddove vincono gli slogan sempre più urlati. Però, il telefonino proprio no. Perché? “All’inizio – spiega lui dalla reception dell’hotel di famiglia – perché non mi andava di essere rintracciabile, reperibile qualunque cosa facessi.
E mi ricordo che, quando sono spuntati i primi telefonini e io andavo al liceo, in tanti la pensavano come me. Solo che con il passare del tempo a pensarla così sono rimasto solo io. Sempre più convinto della mia scelta, quando mi guardo intorno e mi accorgo di quanto le persone siano diventate cellulare-dipendenti. Io di questa dipendenza ho il terrore”.
Le scene sono ormai familiari: “Quando esco a cena, o a bere qualcosa con amici, bisogna fare lo slalom fra i cellulari posati sul tavolo. Se salgo su un mezzo pubblico, tutti stanno incollati allo schermo; vedo i bambini, anche piccoli, ospiti del nostro hotel, a cena davanti al cellulare o al tablet; se sono al volante e il semaforo è rosso, intorno a me non c’è una persona che non sia attaccata al telefonino”.
Certo, vivere disconnessi oggi vuol dire anche essere tagliato fuori da una bella fetta di quotidianità: “Quando vedevo gli screenshot di WhatsApp su Facebook all’inizio nemmeno sapevo da dove spuntassero fuori… per non parlare degli appuntamenti”.
Il “bidone”, il pacco dell’ultimo minuto, per Marco è ancora una fastidiosa realtà. La sorella Barbara, anche lei occupata in albergo, dice sconsolata che “se dobbiamo vederci o se dovesse cambiare all’ultimo il turno al lavoro, io gli scrivo su Messenger sperando che legga in tempo. Ma è sempre una scommessa”.
Le uniche eccezioni sono i viaggi all’estero, “ma solo perché mia mamma insiste, vuole sentirsi più tranquilla”. Così quando nell’estate 2017 Marco è volato una settimana a Tel Aviv per seguire, da blogger di un sito specializzato, gli europei di basket, si è portato dietro l’odiato cellulare, “che alla fine ho usato soltanto appena atterrato, giusto per dire che ero arrivato.
E poi ho tenuto spento fino al ritorno a Genova. In famiglia ho un alleato, se mia madre insiste perché io abbia il telefono, anche mio padre vive benissimo senza”. La scelta talebana di Marco è sopravvissuta anche a fidanzate varie, “ed erano pure storie a distanza”.
Del resto è rintracciabile al lavoro e a casa, dove resiste la linea fissa “e la segreteria telefonica”. Non c’è il minimo sospetto che l’ultimo 30enne senza telefonino alla fine si converta agli odiati cellulari: “Forse potrei ripensarci soltanto se un giorno avrò dei figli… ma se mai capiterà, vorrà dire che ci sarà già una madre tecnologicamente attrezzata”. (Repubblica)
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