Messaggio del vescovo mons. Schillaci per il Santo Natale!
Abitare questo nostro tempo
All’inizio della pandemia del Covid-19, con il primo lockdown, come italiani e come cittadini di questo mondo, abbiamo manifestato e cantato scambiandoci l’augurio che “andrà tutto bene”.
Abbiamo proclamato con il canto la nostra fiducia e la nostra speranza. Abbiamo però anche visto e vissuto l’immane tragedia che ha riguardato non poche vite umane per le quali, a causa di questo male, di questo nemico invisibile, non è andata bene perché non ce l’hanno fatta. Ci ritroviamo ancora, purtroppo, dentro una tragedia che ci tocca da vicino. Quello che stiamo vivendo non è una rappresentazione teatrale o la scena di un film, ma una realtà in carne ed ossa; non è solo questione di numeri, di curve che salgono e che scendono, comunque da esibire e che ci danno angoscia, ma concerne persone, relazioni, legami, vissuti esistenziali; persone stroncate dalla sofferenza e dalla morte; persone che hanno patito e sono decedute senza aver ricevuto l’affetto, la vicinanza e il conforto dei propri cari nell’ultimo drammatico e solenne passaggio che la vita umana riserva ed esige.
Non possiamo certo dimenticare la grande abnegazione di medici, infermieri e volontari che hanno mostrato il volto di una umanità che non si risparmia per andare incontro generosamente ai sofferenti, ai malati, che rischia fino a donare la propria vita. Le pur necessarie restrizioni a tutela della nostra salute non ci consentono ancora di rapportarci con gli altri, come vorremmo e come siamo soliti fare, per mezzo di un abbraccio, di un bacio o di una carezza; siamo ancora impossibilitati ad esprimerci con questi gesti che costituiscono e intessono l’insieme dei nostri incontri e della nostra “amicizia sociale”. Non vediamo l’ora che tutto questo possa ritornare a far parte della nostra vita! L’uomo è relazione e sente forte il bisogno di esprimere questa esigenza profonda del proprio essere. Il venir meno di questa dimensione crea, non raramente, degli squilibri con serie conseguenze per la salute e l’equilibrio psicofisico delle persone, in special modo delle più fragili, delle più vulnerabili, delle più piccole, si pensi ai fanciulli, ma anche delle più sofferenti, delle più sole.
Accanto ed insieme a questo disagio abbiamo registrato un forte incremento della e delle povertà. È aumentata la povertà! Nel senso che ci sono più poveri, persone che prima non venivano a chiedere aiuto, nelle nostre parrocchie, alla caritas o presso altre agenzie di beneficienza, che tuttavia adesso, a causa dell’emergenza sanitaria, vivono nel bisogno e nell’indigenza. Cresce la disoccupazione e il precariato di tanti, uomini e donne, in particolare dei giovani. Si registra un aumento non solo della povertà ma anche delle povertà. Ci sono poveri e poveri. Ci sono più poveri privi dei beni primari ed essenziali per vivere, ma ci sono più poveri anche da un punto di vista culturale, spirituale, sociale. Dinanzi a queste nuove povertà diventa davvero urgente che in tutti noi, credenti e non, cresca la capacità di vedere e di capire che la povertà non è solo mancanza di beni, ma anche mancanza di bene e del Bene! Lasciamo che si faccia spazio nei nostri pensieri, nei nostri sentimenti, nelle nostre scelte, la compassione e la solidarietà nei confronti di tutti. Nessuno si salva da solo. Ci si salva insieme! In qualunque modo, in uno scenario come questo, lasciamo che cresca sempre più in noi la profonda convinzione che non solo in ogni uomo e in ogni donna c’è la capacità di capire sapientemente la realtà delle cose, ma anche quel giusto equilibrio e buon senso che ci permette di abitare responsabilmente questo nostro tempo e orientarlo verso il bene di tutti e per tutti.
“Gloria a Dio”
Davanti e dentro questo contesto desolante che rischia seriamente di farci cadere le braccia, facendoci precipitare nello scoramento e nella sfiducia più totale, come cantare la gioia del Natale? Come cantare la gioia di questo “meraviglioso scambio” al tempo del coronavirus? Quale Natale celebrare se siamo ancora prigionieri di una logica egocentrica, preoccupati sempre e solo di noi stessi, poco fraterni e indifferenti nei confronti degli altri? Quale Natale vivere se la nostra esistenza è ancora carente di fede, di speranza e di carità? Come seguire l’insegnamento dei nostri padri, che illuminati dalla parola del Vangelo, non hanno ignorato le ragioni profonde della speranza che abitava la loro vita, pur vivendo difficoltà e sofferenze indicibili sia materialmente che spiritualmente? Con pudore, timore e gioia appena appena sussurrata, anche noi oggi, desideriamo provare a intonare il canto del Natale: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli”.
È anzitutto un canto rivolto a Dio “che abita una luce inaccessibile; che nessun uomo ha visto né può vedere” (1Tm 6,16) e che tuttavia ha voluto abitare la nostra umanità mostrando il suo volto nel falegname di Nazareth. Il Natale celebra questo indicibile mistero ed avvenimento: Colui che abita nel più alto dei cieli ha voluto porre la sua dimora, la sua tenda, in mezzo a noi abbassandosi, annullandosi. È il Dio con noi, l’Emmanuele! Così per noi è nato il Salvatore: Gesù. Come cristiani siamo chiamati a cantare incessantemente Colui che è venuto a salvarci: Gesù Cristo Signore!
Colui che i secoli hanno atteso, e le generazioni tutte, a modo loro, hanno preconizzato! È venuto il primogenito, l’autentico figlio dell’uomo. È venuto il vero fratello di ogni essere umano (Paolo VI, Omelia della notte di Natale 1973).
Cantare la Gloria di Dio significa per noi cantare senza fine la sua venuta in mezzo a noi. Una gloria che risplende in tutto il suo fulgore nell’umiltà. È questo straordinario evento che ci fa esultare di autentica e intima gioia per la sorte di tutto l’uomo e di tutti gli uomini. Si tratta di una gioia che abbraccia tutti e si dilata fino all’inverosimile poiché non esclude proprio nessuno.
Il profeta Isaia, qualche secolo prima della venuta di Cristo nella carne, aveva rivolto al Signore questa bella e accorata invocazione: “Se tu squarciassi i cieli e scendessi!” (Is 63, 19). È una preghiera che riesce ad esprimere eloquentemente quanto il nostro cuore sta vivendo e provando in questo momento storico. Osiamo fare sempre più nostra questa preghiera a Dio! È una supplica schietta che parte da noi come un grido, portando con sé desideri, angosce, speranze, per giungere fino agli estremi confini della terra, senza dimenticare le diverse periferie incluse quelle esistenziali. È un grido di aiuto! Perché il Signore Dio venga e intervenga. Ma il Signore, lo sappiamo, è venuto ed è intervenuto; Egli viene ed interviene continuamente; Egli verrà e interverrà. È la nostra fede che ci fa proclamare questo. A Natale celebriamo l’incommensurabile e gratuito evento della nostra salvezza. È nato per noi Gesù: Colui che è venuto, viene e verrà a salvarci. Egli salva avvicinandosi a ogni uomo e a ogni donna senza paura di contaminarsi in forza della sua grande e infinita compassione; Lui ama di un amore senza misura tutti. Dio salva così, facendosi uomo e raggiungendo ogni uomo. Egli si avvicina e ci avvicina, si fa prossimo e ci fa prossimi. Leviamo, allora, con fiducia il canto del Natale: Gloria a Dio nel più alto dei cieli!
“sulla terra pace”
La gioia sgorga spontanea e radiosa da un cuore che canta il mistero del Dio fatto uomo. Il cielo raggiunge e incontra la terra. Ci soccorra ancora la parola di Dio con il profeta Isaia:
Cieli stillate dall’alto; le nuvole facciano piovere la giustizia! Si apra la terra e sia feconda di salvezza; faccia germogliare la giustizia al tempo stesso. Io, il Signore, creo tutto questo (Is 45,8).
Il Natale celebra e canta questo insondabile mistero: l’incontro tra il Creatore e la creatura. Dio si è fatto come noi per farci come Lui recita ancora e canta la tradizione della Chiesa. La gioia e il canto del Natale è Gesù Cristo! In Lui si è fatta pace, perché Egli è la nostra pace. Il cristiano che celebra, vive e canta, la gioia del Natale non può non farsi artigiano di pace. La pace egli la riceve come un dono gratuito che viene dall’alto, ma è chiamato a costruirla giorno dopo giorno nelle vicende liete e tristi della sua esistenza. Ogni ambito della nostra vita non deve essere escluso da questo importante proposito. Il discepolo di Cristo come un fine artigiano cesella e scolpisce ogni tratto della propria vicenda umana, personale e comunitaria, con gesti e opere di pace; agendo sempre con vigore e mitezza, con spirito di finezza e umanità. Il cristiano si impegna in tal modo nella vita ordinaria ad abbattere sempre di più le distanze dovunque e con chiunque, a costruire senza eccezione ponti e a non frapporre ostacoli o alzare muri.
Papa Francesco nella sua ultima lettera – Fratelli Tutti – sulla fraternità e l’amicizia sociale, auspica che in ogni parte della terra si avviino e si promuovano percorsi di pace. Percorsi che non mirino ad omologare ed uniformare tutti, ma a riconoscere la differenza, la dignità, l’originalità, l’unicità, di ogni persona e di ogni altro. Facciamo in modo che cresca ogni giorno nella nostra vita la capacità di riconoscere l’altro nella sua alterità:
Questo implica la capacità abituale di riconoscere all’altro di essere sé stesso e di essere diverso. A partire da tale riconoscimento fattosi cultura, si rende possibile dar vita ad un patto sociale (Fratelli tutti, 218).
Il cristiano in quanto vero artigiano di pace è capace di dialogo, di autentico riconoscimento e di sincero rispetto dell’altro perché altro.
Questo patto – continua Papa Francesco – richiede anche accettare la possibilità di cedere qualcosa per il bene comune. Nessuno potrà possedere tutta la verità, né soddisfare la totalità dei propri desideri, perché questa pretesa porterebbe a voler distruggere l’altro negando i suoi diritti. La ricerca di una falsa tolleranza deve cedere il passo al realismo dialogante, di chi crede di dovere essere fedele ai propri principi, riconoscendo che anche l’altro ha il diritto di provare ad essere fedele ai suoi. È il vero riconoscimento dell’altro, che solo l’amore rende possibile e che significa mettersi al posto dell’altro per scoprire che cosa c’è di autentico, o almeno di comprensibile, tra le sue motivazioni e i suoi interessi (221).
Alla luce degli attuali eventi ci sia concesso dal Signore di celebrare e vivere il suo Natale come festa di incontro, di solidarietà, di gioia e di pace.
Il Papa nella sua lettera, inoltre, esorta tutti a recuperare e ad esercitare la virtù umana della gentilezza. Il Natale in questo tempo di emergenza sanitaria e di crisi sociale possa costituire per ciascuno di noi una vera occasione di crescita umana. Gli altri non siano considerati da noi un peso, un ostacolo o peggio ancora un nemico e una minaccia, ma opportunità concreta, fattiva, per diventare sempre più umani. Lasciamo che venga fuori sempre più da ciascuno di noi il meglio del nostro essere:
San Paolo menzionava un frutto dello Spirito Santo con la parola greca chrestotes (Gal 5,22), che esprime uno stato d’animo non aspro, rude, duro, ma benigno, soave, che sostiene e conforta. La persona che possiede questa qualità aiuta gli altri affinché la loro esistenza sia più sopportabile, soprattutto quando portano il peso dei loro problemi, delle urgenze e delle angosce. È un modo di trattare gli altri che si manifesta in diverse forme: come gentilezza nel tratto, come attenzione a non ferire con le parole e i gesti, come tentativo di alleviare il peso degli altri (223).
Facciamoci veri artigiani di pace con l’arte della gentilezza! E sia veramente Natale per tutti!
“agli uomini che egli ama”
Cantare il Natale del Signore per noi cristiani si traduca, allora, concretamente in uno stile di vita capace di fare, di costruire, una cultura di pace. La Chiesa esperta in umanità, docile al suo Signore, viene resa progressivamente più capace di promuovere la pace attraverso il dialogo, l’incontro e il confronto con tutti. È una visione, un orizzonte di senso, che abilita noi discepoli del Signore e ci fa più umani, nella misura in cui riusciamo ad incontrare e far incontrare tutti, soprattutto, coloro che sono o vengono posti ai margini della convivenza sociale e civile perché rifiutati e scartati. Per porre in essere una cultura della pace ricominciamo da loro, ricominciamo dagli ultimi! (cfr. Fratelli Tutti, 235). Attraversiamo ed abitiamo questo momento difficile della nostra storia non per acquisire forza, potere, possesso, ma per avviare processi ricchi di umanità, ispirati dal Vangelo, con mitezza, umiltà, servizio, fino al dono gratuito e generoso di noi stessi. Non lasciamoci sedurre dalle lusinghe di un individualismo sempre più chiuso, autoreferenziale, difensivo, che non vede o non vuole vedere oltre sé stesso; così pure non nascondiamoci dietro le seduzioni di un pessimismo distruttivo e disperato che non riesce a scorgere il bene ovunque esso si trovi; il bene riconosciamolo e incontriamolo soprattutto nei più lontani da noi, sia da un punto di vista sociale che da un punto di vista culturale e spirituale. Il Bambino Gesù, con la sua radicale umiltà e povertà, conceda a ciascuno di noi di capire, di accogliere e servire i poveri non solo in chiave orizzontale e sociologica, ma di scorgere in loro un autentico orizzonte teologico. L’annuncio del Natale è rivolto ai pastori, alla povera gente, agli esclusi, a coloro che non hanno titoli, riconoscimenti e onori, ma che in ogni modo sono e rimangono persone amate dal Signore. Un annuncio rivolto a tutti, uomini e donne, perché fratelli tutti. Se il Natale è il mistero dell’incontro tra Dio e l’uomo in Cristo Gesù, noi come cristiani siamo chiamati a declinare questa capacità di incontrare e amare ogni uomo e ogni donna nessuno escluso. Dio ci viene incontro per primo perché ci ama. Amati siamo resi capaci di amare! Infatti, l’uomo che si sente amato ama. E di sicuro colui che ama non fa mai male a nessuno. Non in modo astratto ma concretamente, nei fatti e nella realtà. Desideriamo come chiesa Lametina sentirci tutti impegnati, coinvolti in modo pieno, in questo programma di vita personale e comunitario. È il programma di sempre: il Vangelo! L’annuncio del Natale quest’anno ci disponga a prenderci sempre più cura di chi ha più bisogno, dei più vulnerabili, di chi grida aiuto e di chi non ha più neanche la forza di gridare. Il Signore Gesù ci faccia sempre più attenti a questo grido che è anche quello della nostra terra, che abitiamo, di cui vogliamo essere diligenti custodi.
Mi sia concesso in ultimo, in occasione di questo Natale di rivolgere un pensiero grato a tutti i presbiteri, i diaconi, i religiosi, le religiose e a tutti i fedeli della nostra Chiesa che è in Lamezia Terme per la testimonianza di solidarietà e di responsabilità mostrata in questo tempo di pandemia. In questa solennità dell’Immacolata Concezione penso a tutti i gruppi, le associazioni e i movimenti ecclesiali in particolare l’Azione Cattolica che celebra la giornata dell’adesione, ma penso anche ad ogni uomo e ogni donna di buona volontà della nostra terra che lotta, che soffre, che spera per un mondo più giusto, più solidale, più bello, più fraterno, più umano. Camminiamo tutti insieme nella stessa direzione di marcia sotto la protezione della Vergine Immacolata. La Vergine Maria, Madre di Gesù, interceda per noi, perché sappiamo meglio ascoltare, capire ed accogliere nella nostra vita il Signore e, guardando e confidando sempre più in Lui, prenderci cura con amorevole tenerezza di tutti i nostri fratelli, in particolare degli ultimi; in questo nostro tempo la Vergine Madre ci aiuti e ci insegni a meditare, discernere e mettere in pratica il Vangelo, da veri discepoli del Figlio suo Gesù, per cantare così il Natale diffondendo pace, concordia, amore, sempre con gioia, compassione, gentilezza, umanità. Amen!
Giuseppe Schillaci,
Vescovo di Lamezia Terme
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